07 settembre 2007
21 gennaio 2007
Moderazione infinita
Nessuno è più estremista del vero moderato: perché non si è mai abbastanza moderati. C'è sempre qualcuno ancora più moderato del moderato, che lo ricatterà per non essere abbastanza moderato: non si può essere moderatamente moderati. Alla moderazione non si può applicare l'unica frase memorabile pronunciata dall'ex segretario dell'Urss, Gorbaciov, quando gli fu richiesto quale fossero le sue convinzioni religiose: «Sono un ateo non praticante».
È curioso come in politica il termine «moderato» sia diventato positivo, mentre negli altri ambiti di vita è negativo, soprattutto nella forma avverbiale: se una persona è «moderatamente intelligente», non vogliamo dire che è un genio. E se è «moderatamente simpatica», non ce ne stiamo innamorando. In politica no. Il moderato è al di sopra delle parti: c'è il moderato di destra, quello di sinistra e quello di centro. Il moderato è per natura bipartisan, anzi threepartisan. Da qui la fine, inevitabile, del «riformismo moderato»: qualunque riforma gli apparirà troppo poco moderata. Un esempio geniale è stato dato dal centrosinistra sui taxi. Le licenze prima dovevano essere liberalizzate: troppo giacobino! Ecco allora un primo compromesso con la corporazione, e mandato negoziale ai sindaci. A luglio il sindaco Walter Veltroni - campione del riformismo moderato, che spera anche di diventarne il suo leader politico - promise 3.500 licenze in più, a Roma, per settembre: il che ci avrebbe portato alla metà del rapporto taxi/abitanti rispetto a Londra. Ma era ancora troppo estremista. A dicembre si parlava di 1.500 licenze in più a gennaio. Adesso non se ne parla proprio più. La riforma è evaporata, ma con moderazione.
C'è un solo gruppo sociale su cui la moderazione si permette di essere smodata. Ed è nello stangare i dipendenti salariati, i precari, i pensionati, gli ammalati, gli studenti. Su di loro i balzelli (chiamati tickets), i tagli, i prelievi, gli inasprimenti, gli esuberi, gli innalzamenti, non sono mai abbastanza incisivi, chirurgici, strutturali. È chiaro: la moderazione del moderato è quella che modera le altrui aspettative e l'altrui livello di vita. Modera la nostra fiducia nel futuro.
19 novembre 2006
Eccoci?
15 novembre 2006
Rieccoci...
03 novembre 2006
Diritto allo studio?
di Marco Rossi-Doria
Mi occupo di povertà da anni perché un indicatore importante del fatto che la scuola pubblica assolva alla sua primaria funzione, in un qualsiasi paese del mondo – secondo tutti i documenti ONU e tutti gli studi - risiede nel fatto che vi sia mobilità sociale ossia che i figli di operai o disoccupati o contadini o impiegati abbiano la scelta di fare cose diverse dai propri genitori e guadagnare anche meglio, che abbiano, dunque, scelte disponibili e opportunità tendenzialmente sempre più uguali agli altri cittadini più fortunati. Si tratta della scuola nella sua funzione di leva per la “discriminazione positiva” che è quella cosa per la quale si dà di più a chi parte svantaggiato e si evita di perpetuare l’ineguaglianza dando cose standard e uguali a persone in condizioni di partenza non uguali. Per i giovani cittadini in crescita questa possibilità di emancipazione dalla condizione di partenza grazie alla scuola pubblica è internazionalmente considerato anche un indicatore di democraticità della società perché è acclarato che maggiore sapere facilita cittadinanza e possibilità partecipative che, a loro volta, nella società della conoscenza, favoriscono competenza deliberativa a livello locale e nazionale. Democrazia e mobilità sociale verticale sono tra loro legate e hanno origine in un buon sistema scolastico pubblico. E il primo passo in questa direzione sta nella possibilità che un figlio o figlia di poveri, grazie alla scuola, non riproduca la condizione di partenza ma, invece, esca dallo stato di povertà.
Chi è un povero oggi in Italia? Si considera povera una famiglia di due persone che vive con meno di 936,58 euro al mese. Si ottiene questa cifra moltiplicando la spesa media pro-capite nel Paese per un coefficiente che calcola le ottimizzazioni ed è al contempo legato al numero dei membri della famiglia. Così un single è povero se guadagna meno di 561,95 euro al mese mentre una famiglia di quattro persone lo è sotto i 1.526,63 euro al mese.
Ebbene. La povertà relativa riguarda l’11,1% della famiglie italiane, ben 7.577.000 persone che sono il 13,1% dell’intera nostra popolazione. La percentuale aumenta per le famiglie con 1 lavoratore dipendente, per quelle con più persone in cerca di occupazione, per le donne sole e per famiglie più numerose, tanto che la percentuale di poveri ragazzi e bambini è maggiore della media. Ma attenzione: quasi tutti questi fattori trovano i picchi al Sud e si tratta, negli ultimi 2 anni, del 24% - 25% della famiglie meridionali – 1 su 4 ! – che sono povere nel Mezzogiorno. Ciò a fronte del 6,0% - 7,3% delle famiglie del Centro dell’Italia e del 4,5% – 4,7% delle famiglie del Nord. Inoltre la percentuale è sostanzialmente ferma per il Centro, è in lieve diminuzione per il Nord ma aumenta, invece, di circa 3 punti percentuali al Sud e l’intensità di povertà – il quanto si è sotto quella soglia – è ben più elevata a Sud.
La situazione in assoluto più grave è quella della Campania dove il 27% delle famiglie è povera e in costante aumento. E, entro la Campania, i picchi della crisi sono le zone metropolitane della Provincia di Napoli e, in modo esponenziale, le periferie e i quartieri interni della città di Napoli in particolare. Se si incrociano questi dati con quelli relativi a disattesa scolastica e fallimento formativo vi è piena corrispondenza: nelle aree territoriali di massima povertà aumenta il fallimento scolastico.
Inoltre la mobilità sociale verticale in Italia è sostanzialmente ferma, in generale, da circa 15 anni ed è chiaramente peggiorata dal periodo 1960- 1980. Allora i figli di operai e braccianti avevano più possibilità di emanciparsi e migliorare di quanto non lo abbiano oggi i figli di operai, impiegati e poveri a lavoro precario. E’ una situazione estrema tra i paesi sviluppati. La mancata mobilità sociale verticale è, poi, letteralmente precipitata nel Sud, in Campania e nell’area di Napoli in modo ancor più grave che altrove. E ciò spiega largamente la ripresa dell’emigrazione interna dalle nostre zone verso il Centro- Nord. La scuola italiana è dunque tra quelle meno capaci di favorire emancipazione, è una scuola più “di classe” delle altre dei cosiddetti paesi sviluppati ed è più “di classe” oggi che ai tempi di Don Milani. Non promette molto ai soggetti più deboli in termini di conoscenze e possibilità di lavoro futuro, non favorisce i processi democratici nella società della conoscenza per chi ne è fuori alla nascita, immette pochi ragazzi più esclusi nei processi di orientamento e nel mercato del lavoro locale, intercetta poco la fascia in assoluto più debole della popolazione adolescenziale che è quella che non termina o termina a stento gli 8 anni di obbligo, consente pochissima formazione continua nelle diverse età della vita in generale e per chi non l’ha fatta prima. Tutti questi indicatori sono ancor più marcati in Campania e a Napoli.
Non tutto dipende dalla scuola e un miglioramento della scuola senza strategie di sviluppo equilibrato sarebbe una politica monca. Tuttavia la scuola deve cambiare. E solo se cambia conserva la sua ragione d’essere. Altrimenti serve per dare buona scuola pubblica quasi gratis a chi ne ha meno bisogno – come acutamente osservava Domenico Starnone qualche anno fa. Questa constatazione significa porsi il problema di cosa cambiare nel modo di fare scuola a favore dell’apprendimento, coinvolgimento e sostegno maggiore ai ragazzi. Qual è la direzione per ritrovare la missione primaria della scuola? Non è facile indicare gli indirizzi. Ma alcune cose sono evidenti. Se i cambiamenti implicano più soldi ai docenti ma anche una trasformazione radicale nel modo di essere docenti in termini di reale maggiore libertà e di maggiore diretta responsabilità sull’organizzazione scolastica e sui processi di apprendimento si va nella direzione giusta. Se si superano le logiche di brutale standardizzazione dei processi di apprendimento a scuola (stesse lezioni, stessi compiti, stessi assetti didattici a tutti) a favore di un sistema misto che salvaguardi cose comuni ma sappia anche differenziare per dare di più o diverso a chi ne ha bisogno si va nella direzione giusta. Se si applica il principio “uguale salario a uguale lavoro” (tanto per usare la formula classica che fu addirittura di Marx ed Engels) e si abbandona la pretesa di dare “uguale salario a tutti” si va nella direzione giusta. Se i soldi vanno a premiare chi sta con i ragazzi e promuove innovazione, al contempo, ma come gruppo di docenti e non come singolo si va nella direzione giusta. Se si smontano le burocrazie e il delirio aziendalista, per di più anacronistico anche nelle aziende, a favore di vera autonomia scolastica per la quale le scuole rispondono al territorio del loro lavoro e concordano le modalità entro le quali possa avvenire una valutazione partecipata e premiano il protagonismo dei gruppi docenti organizzati come comunità di pratiche d’accordo con i dirigenti si va nella direzione giusta. Se si accoglie l’emergenza campana e napoletana e di altre aree di grave crisi nel Mezzogiorno e si dà sostegno straordinario alle buone cose ordinarie che si fanno ogni giorno a scuola e alle azioni che combattono la dispersione scolastica di massa si va nella direzione giusta. Se si premiano le innovazioni che funzionano si va nella direzione giusta. E’ questo di cui si deve discutere. Si tratta di una battaglia difficile e lunga che è “di democrazia”.
Non mi pare che oggi dalle nostre parti si intenda la politica come discussione di merito su queste cose.
24 luglio 2006
Indulto? No grazie...
“Caro Beppe,
a pochi mesi dalle elezioni ho deciso di scriverti una lettera che spero tu possa pubblicare sul blog. Domani Unione e Cdl voteranno a favore di una legge, quella sull’indulto, che non era prevista nel programma dell’Unione e che io ritengo del tutto estranea alla volontà degli elettori del centrosinistra. Questa legge, nata per liberare le carceri, è stata estesa ai reati di falso in bilancio, corruzione, reati fiscali e finanziari anche nei confronti della Pubblica amministrazione.
Neppure il governo Berlusconi era arrivato a tanto. E’ un colpo di spugna che viene effettuato nel pieno del periodo estivo. Un atto gravissimo del quale è riportata un’informazione parziale, e spesso strumentale, da parte di giornali e televisioni. Il tuo blog, forse, può darne una diffusione maggiore e soprattutto libera.
Sono profondamente contrario al fatto che l’accordo per l’approvazione dell’indulto si basi su uno scambio politico con Forza Italia, in quanto prevede l’inclusione di reati per i quali vi sono processi e condanne di esponenti, anche di primo piano, della Casa delle Libertà. Se l’indulto passasse così com’è, tutti i fatti di mala amministrazione e di mala attività imprenditoriale, rimarrebbero impuniti. Si tratta di persone colpevoli di reati come tangentopoli, calciopoli, bancopoli. Persone che hanno occupato le indagini delle magistrature e le prime pagine dei giornali in questi ultimi anni.
Io ho scritto ai leader dei partiti dell’Unione per un vertice in cui discutere dell’indulto. Non ho avuto risposta. Nel Consiglio dei ministri dello scorso venerdì ho sottolineato la gravità di questa legge, contraria agli interessi dei cittadini, ma utile alle consorterie dei partiti.
Ho minacciato le dimissioni da ministro nella più totale indifferenza dei colleghi. L’Idv è il quarto partito della coalizione con 25 rappresentanti tra Camera e Senato. La sua uscita dalla coalizione può far cadere il Governo, ma io non mi sento di ritornare alle urne e, forse, di riconsegnare il Paese a Berlusconi.
L’Unione ha posto il veto sui nostri emendamenti per l’esclusione dei reati finanziari, societari e di corruzione dall’indulto. Lunedì e martedì prossimo l’Italia dei Valori farà tutto quello che è in suo potere per rallentare l’approvazione della legge sull’indulto attraverso una serie di emendamenti. L’Italia merita altri politici, altri governi. Non deve essere costretta a scegliere tra il peggio e il meno peggio, come tu spesso dici.
L’Italia dei Valori, da sola non può cambiare, questo Paese. Gli italiani devono fare sentire e forte la loro voce, in tutti i modi legittimi possibili, per evitare un ennesimo passo indietro della democrazia”.
Antonio Di Pietro.
19 luglio 2006
Israele è sola
di Luciana Castellina
07 luglio 2006
Fascisti, brava gente.
05 luglio 2006
Partito Democratico?
Personalmente condivido il primo e il secondo di questi punti, mentre avrei molte questioni da porre sul merito - non sulla rilevanza - del terzo e del quarto. Mi pare ad esempio tanto centrata la sottolineatura di Salvati del fallimento del primo centrosinistra nelal gestione della modernizzazione degli anni '60 e del consociativismo Dc-Pci nella gestione della crisi sociale degli anni 70, quanto affrettata l'analisi dei rapporti fra Psi e Pci; tanto apprezzabile l'esortazione a superare definitivamente le nostalgie per la «Prima» Repubblica, quanto rassicurante l'analisi delle derive della « Seconda», che non sono riducibili al «cattivo funzionamento» del bipolarismo ma a fattori di crisi sociale e politica che hanno scavato in profondità. Ancora: tanto condivisibile è la necessità di contestualizzare il progetto del nuovo partito nel «mondo cambiato» del dopo-'89, quanto discutibile è l'accettazione sostanziale della cassetta degli attrezzi di Blair, o la sua sostanziale equiparazione a quella di Schroeder e Zapatero; e tanto chiara è la defizione della'orizzonte culturale liberal-socialista (Sen, Rawls, Dworkin, Bobbio, Walzer) del partito democratico, quanto liquidatorio il giudizio sui «residui marxisti» presenti a sinistra. Infine e soprattutto: tanto è convinto l'invito a «derivare dal valore della democrazia una serie di implicazioni programmatiche forti», quanto è elusa la questione della crisi che le democrazie reali di oggi attraversano. Forse è proprio da qui che bisognerebbe avere il coraggio di cominciare a discutere. Ma allora quel nome, «partito democratico», apparirebbe ancor più spettrale di quanto non sia.
di Ida Dominijanni