24 luglio 2006

Indulto? No grazie...

Lettera di Di Pietro a Beppe Grillo:

Caro Beppe,

a pochi mesi dalle elezioni ho deciso di scriverti una lettera che spero tu possa pubblicare sul blog. Domani Unione e Cdl voteranno a favore di una legge, quella sull’indulto, che non era prevista nel programma dell’Unione e che io ritengo del tutto estranea alla volontà degli elettori del centrosinistra. Questa legge, nata per liberare le carceri, è stata estesa ai reati di falso in bilancio, corruzione, reati fiscali e finanziari anche nei confronti della Pubblica amministrazione.
Neppure il governo Berlusconi era arrivato a tanto. E’ un colpo di spugna che viene effettuato nel pieno del periodo estivo. Un atto gravissimo del quale è riportata un’informazione parziale, e spesso strumentale, da parte di giornali e televisioni. Il tuo blog, forse, può darne una diffusione maggiore e soprattutto libera.
Sono profondamente contrario al fatto che l’accordo per l’approvazione dell’indulto si basi su uno scambio politico con Forza Italia, in quanto prevede l’inclusione di reati per i quali vi sono processi e condanne di esponenti, anche di primo piano, della Casa delle Libertà. Se l’indulto passasse così com’è, tutti i fatti di mala amministrazione e di mala attività imprenditoriale, rimarrebbero impuniti. Si tratta di persone colpevoli di reati come tangentopoli, calciopoli, bancopoli. Persone che hanno occupato le indagini delle magistrature e le prime pagine dei giornali in questi ultimi anni.
Io ho scritto ai leader dei partiti dell’Unione per un vertice in cui discutere dell’indulto. Non ho avuto risposta. Nel Consiglio dei ministri dello scorso venerdì ho sottolineato la gravità di questa legge, contraria agli interessi dei cittadini, ma utile alle consorterie dei partiti.

Ho minacciato le dimissioni da ministro nella più totale indifferenza dei colleghi. L’Idv è il quarto partito della coalizione con 25 rappresentanti tra Camera e Senato. La sua uscita dalla coalizione può far cadere il Governo, ma io non mi sento di ritornare alle urne e, forse, di riconsegnare il Paese a Berlusconi.
L’Unione ha posto il veto sui nostri emendamenti per l’esclusione dei reati finanziari, societari e di corruzione dall’indulto. Lunedì e martedì prossimo l’Italia dei Valori farà tutto quello che è in suo potere per rallentare l’approvazione della legge sull’indulto attraverso una serie di emendamenti. L’Italia merita altri politici, altri governi. Non deve essere costretta a scegliere tra il peggio e il meno peggio, come tu spesso dici.
L’Italia dei Valori, da sola non può cambiare, questo Paese. Gli italiani devono fare sentire e forte la loro voce, in tutti i modi legittimi possibili, per evitare un ennesimo passo indietro della democrazia”.

Antonio Di Pietro.

19 luglio 2006

Israele è sola

Sono preoccupata - molto - per tutti quegli ebrei di origine assai diversa che hanno deciso di essere israeliani. Condivido l'allarme di questi giorni sulla sorte del paese che hanno creato. Comepotrà infatti mai sentirsi sicuro uno stato che ha fatto crescere attorno a sé tanto odio? Come potrà mai legittimare davvero la sua esistenza, non nelle istanze istituzionali dove è più che riconosciutoma nella coscienza deimilioni di arabi che gli vivono accanto e che per ragioni analoghe a quelle della diaspora ebraica si sentono anche loro fra loro solidali, se non assumendo il problema del popolo che la costituzione del loro stato ha lasciato senza patria né casa? Come potrà il governo di Tel Aviv invocare l'applicazione - sacrosanta - della risoluzione 1559 dell'Onu che ingiunge a Hezbollah di disarmare, quando ha, esso stesso, damezzo secolo, ignorato ogni altra risoluzione delle Nazioni Unite, a cominciare dalla, fondamentale, 242 che gli ingiungeva di ritirarsi entro i confini del '48?Comepotrà rendere convincente la propria voce che si accompagna a quella del suo altrettanto incosciente alleato americanonel rivendicare l'intervento armato contro l'Iran perché pretende di possedere un potenziale nucleare, quando Israele stessa lo possiede in violazione di ogni norma internazionale? Come potranno raccogliere adesione nella denuncia degli orrendi regimi dell'Iran, di SaddamHussein, dei Talebani, quando intrattengono ottime relazioni con altrettanto orrendi regimi reazionari (a cominciare da quelli del Golfo), e di fronte al disastro cui ha condotto l'intervento «democratizzatore» degli americani? Come potrà chiedere solidarietà contro la minaccia di Ahmadinejad, di Hamas, di Hezbollah, che rifiutano di riconoscere ufficialmente lo stato d'Israele, quando ogni giorno non solo insidiama rende risibile ogni prospettiva di creare uno stato palestinese, che infatti ancora non c'è, né mai ci potrà essere fino a quando a quel mozzicone di terra che dovrebbe costituirne l'embrione è negato ogni attributo di sovranità, del controllo delle proprie frontiere, economia e risorse, esposto al kidnapping e all'assassinio dei propri rappresentanti democraticamente eletti, ridotto a peggio di un bantustan nell'Africa dell'apartheid? Come potrà ottenere una reale accettazione della propria esistenza e far dimenticare le sofferenze e privazioni inaudite che la creazione di Israele ha imposto a chi ci abitava ed ebreo non era, se non col coraggio di ragionare sulla rispettiva storia e cercare con umiltà un compromesso, non negando con arroganza i diritti degli altri, mariconoscendoli e chiedendo però che anche gli altri riconoscano i propri? Comemai sarà possibile cancellare dalla memoria dei propri vicini le stragi quotidiane di innocenti, l'aver ridotto la Striscia di Gaza a un campodi concentramento esposto alle incursioni, senza acqua, cibo e lavoro? Come potrà sentirsi più forte ora che si è giocato ogni simpatia anche in Libano? Sgomenta in queste ore, ancor più che la sostanziale indifferenza verso le vittime, la cecità e l'incoscienza di chi si pretende amico di Israele e che, pur vivendo altrove, dovrebbe dunque avere il vantaggiodella lungimiranza che dà la distanza. E invece scelgono di aggiungere le loro grida alle grida della più irragionevole, furiosa e primitiva reazione, anziché richiamare quel governo alla ragione, farlo riflettere sull'errore tremendo di aver volutamente bruciato l'interlocutore migliore che avrebbe potuto avere, la laica Olp, e di detenere tuttora i suoi uomini più lucidi in galera, così aiutando il popolo israeliano a capire che la vera sicurezza del paese può esser conquistata solo per via politica, creando legami sociali culturali economici con i propri vicini, dando sicurezza e noninsicurezza ai palestinesi. E' vero: Israele è sola. Avere dalla sua il paese più potente del mondo, e con esso i suoi vassalli -media governi imprese - non riduce il suo isolamento. A chi sta a cuore salvare questo stato deve smetterla con questa mortifera, pericolosa, cieca solidarietà.

di Luciana Castellina

07 luglio 2006

Fascisti, brava gente.


Il 21 gennaio scorso Tommaso Paternoster e Alessandro Caparezzi, rispettivamente 22 e 33 anni, hanno aggredito un ragazzo in pieno centro a Bologna. Quest' ultimo aveva la "colpa" di indossare una spilla antinazista. I due hanno prima intimato al ragazzo di toglierla e di fronte al rifiuto sono passati alle mani. Risultato: dieci giorni di prognosi. Denunciati e arrestati i due fascisti al momento del fermo sono stati trovati con: coltello a serramanico, coltello "ordinario", noccoliera con punte acuminate, manganello telescopico, due cutter e catena con tanto di pezzo di ferro all'estremità. Insomma, un corredo da guerriglia urbana. Perfortuna Caparezzi e Paternoster (che sembrano più nomi da prete il primo e da cantante il secondo) sono stati condannati ieri a due anni e mezzo ciascuno.

05 luglio 2006

Partito Democratico?

Il correntone minaccia la scissione. Massimo D'Alema pare che freni. Giovanna Melandri nega che sarà il recinto del moderatismo. Marina Sereni dice che bisogna fare il programma per sciogliere le paure. Fra una buona e una cattiva intenzione, il partito democratico rimane lo spettro che si aggira sullo scenario politico. Si fa? Non si fa? Ma quando si fa? E come si fa? E soprattutto perché si fa? Credevamo di essere al come e invece siamo ancora al perché, ha scritto sul Riformista di ieri l'ex direttore Antonio Polito, replicando a un editoriale di venerdì del nuovo direttore Paolo Franchi, il quale aveva giustamente messo nero su bianco che «del perché un simile, inedito soggetto dovrebbe prendere corpo,e del perché l'Italia ne avrebbe bisogno, nessuno dei praticoni del 'partito nuovo' si è mai peritato di darci qualche ragione di carattere nazionale». Tali non essendo, a giudizio di Franchi, le esigenze di allargamento dei consensi elettorali di Ds e Dl, né «il tedioso chiacchiericcio» sulla necessità di far confluire le diverse tradizioni riformiste, né il successo delle primarie per Romano Prodi. Qualche ragione cercherà di darla il forum convocato per oggi a Roma dall'associazione per il partito democratico, presenti tutti gli interessati da Fassino a Rutelli a Cacciari a Parisi ad Amato. Ma allo stato attuale, la base più realistica per la discussione non l'ha fornita nessuno dei leader Ds, Dl e dintorni, ma un lungo e ambizioso saggio di Michele Salvati, pubblicato sempre sul Riformista in due puntate, venerdì e sabato. Impossibile da riassumere qui esaustivamente, ma di cui vanno almeno segnalati, e interrogati, alcuni passaggi. In primo luogo l'inizio, perentorio e sacrosanto: «Un 'partito nuovo' non nasce e non sopravvive se non risponde a un'esigenza storica, a una domanda del tempo, che i suoi promotori sono capaci di avvertire anche quando non è esplicita. Nasce e sopravvive se vi risponde». In secondo luogo il compito principale che per il nuovo partito viene indicato: prendere sul serio il rischio-declino dell'Italia e provare a rilanciare una crescita non solo economica ma anche civile e politica. In terzo luogo, la collocazione del progetto nella «storia lunga» della Repubblica: della cosiddetta Prima e della cosiddetta Seconda Repubblica, dei rispettivi sistemi politici e dei relativi blocchi. In quarto luogo, la definizione di una base culturale per il nuovo partito, con una rosa di autori di riferimento finora mai assunti esplicitamente come tali.
Personalmente condivido il primo e il secondo di questi punti, mentre avrei molte questioni da porre sul merito - non sulla rilevanza - del terzo e del quarto. Mi pare ad esempio tanto centrata la sottolineatura di Salvati del fallimento del primo centrosinistra nelal gestione della modernizzazione degli anni '60 e del consociativismo Dc-Pci nella gestione della crisi sociale degli anni 70, quanto affrettata l'analisi dei rapporti fra Psi e Pci; tanto apprezzabile l'esortazione a superare definitivamente le nostalgie per la «Prima» Repubblica, quanto rassicurante l'analisi delle derive della « Seconda», che non sono riducibili al «cattivo funzionamento» del bipolarismo ma a fattori di crisi sociale e politica che hanno scavato in profondità. Ancora: tanto condivisibile è la necessità di contestualizzare il progetto del nuovo partito nel «mondo cambiato» del dopo-'89, quanto discutibile è l'accettazione sostanziale della cassetta degli attrezzi di Blair, o la sua sostanziale equiparazione a quella di Schroeder e Zapatero; e tanto chiara è la defizione della'orizzonte culturale liberal-socialista (Sen, Rawls, Dworkin, Bobbio, Walzer) del partito democratico, quanto liquidatorio il giudizio sui «residui marxisti» presenti a sinistra. Infine e soprattutto: tanto è convinto l'invito a «derivare dal valore della democrazia una serie di implicazioni programmatiche forti», quanto è elusa la questione della crisi che le democrazie reali di oggi attraversano. Forse è proprio da qui che bisognerebbe avere il coraggio di cominciare a discutere. Ma allora quel nome, «partito democratico», apparirebbe ancor più spettrale di quanto non sia.

di Ida Dominijanni

02 luglio 2006

Why Jobs?


Da fedele e datato utente Apple quale sono, rimango un pò spiazzato da un'inchiesta pubblicata qualche settimana fa da The Mail on Sunday sulle drammatiche condizioni lavorative dei dipendenti cinesi addetti alla produzione degli iPod. Il giornale britannico racconta infatti che questi vengono realizzati soprattutto da donne che lavorano in media 15 ore al giorno per un salario di 50 dollari al mese, il tutto condito con guardie armate che controllano i ritmi di produzione e contrastano un'eventuale "spionaggio industriale". Due sono le fabbriche oggetto dell'inchiesta: la prima si trova a Longhua, vicino Hong Kong e di proprietà della Foxcoon, nella quale circa 200mila persone assemblano le 400 mini componenti dell' iPod nano; la seconda invece è situata a Suzhou dove le condizioni lavorative sembrano essere leggermente più "umane".
La Apple fino ad adesso ha taciuto anche di fronte alle pesanti dichiarazioni di un portavoce Foxcoon che ha ammesso lo sfruttamento del personale (80 ore extrasettimanali, circa 4 ore di straordinario al giorno) dichiarando però che "la Apple sapeva tutto, dal momento che aveva mandato uno staff d'ispezione senza rilevare illeciti o soprusi".
Ora posso definirmi, oltre che fedele e datato, anche un'utente un pò ingenuo, forse tradito dallo slogan Apple "Think Different" e da un'utopica forma di capitalismo solidale. In realtà di diverso non c'è proprio niente.