13 maggio 2006

L' asiatica fenice

Mikhail Gorbaciov ha scritto, su La Stampa , recentemente, che la guerra fredda numero due è già cominciata. Possiamo fidarci. Lo è. E' finita la fase in cui Vladimir Putin accettava di fare da – come si dice a Mosca - mladshij partnior (socio subalterno) di Washington. Ed è finita non tanto perché Putin sia diventato baldanzoso e aggressivo all'improvviso, essendosi probabilmente stufato di essere considerato, appunto, un socio subalterno, quanto per il verificarsi concomitante di due fattori nuovi. Uno è la logica dell'Amministrazione americana attuale, che è eminentemente aggressiva su tutti i fronti. E che ha polverizzato sul suo cammino l'illusione (o la tattica sagace, scelga il lettore) di Putin di poter restare ancora a lungo fuori dal mirino di Washington.

La seconda è il risultato del prezzo del petrolio, che non ha cessato di riversare generosamente sullo zar del Cremino un fiume di dollari di gigantesche proporzioni, tale da consentirgli di risolvere alcuni problemi sociali interni e di avviare un programma di riarmo e di modernizzazione militare di dimensioni cospicue, da grande potenza.

Vediamo queste due componenti. Dall'11 di settembre in avanti (ma anche prima, appena giunto al potere, nel 2000, zar Vladimir si è comportato, appunto, come socio subalterno, accettando il dato rappresentato dagli Stati Uniti come unica superpotenza. Ne conseguiva l'accettazione della supremazia altrui e il ripiegamento su prudenti posizioni di attesa. Tattica dettata anche, in via secondaria, da ragioni interne, di consolidamento del potere a Mosca, e di rapporti delicati con gli oligarchi filo-occidentali. La guerra afgana fu dunque accettata da Mosca, perfino aiutata, pur rimanendone fuori. Faccia pure l'America, si diceva a Mosca, noi non faremo resistenza. Solo che George Bush, usando l'Afghanistan, si prese mezza Asia Centrale ex sovietica, installò le sue basi in Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan, dislocò trentamila uomini là dove mai gli Stati Uniti avevano ficcato il naso. Non ci fu reazione significativa a Mosca, dove la cosa non passò tuttavia inosservata, ma prevalse l'idea di restare “fuori dal mirino”.

In parallelo Bush seguì la linea di Clinton: erodere le basi dell'influenza russa nei suoi cortili di casa. Bill Clinton aveva liquidato la Jugoslavia, Bush mette al potere a Tbilisi il suo uomo, liquidando perfino un alleato fedele come Eduard Shevardnadze. E qui il nervosismo di Mosca ha cominciato a diventare alto. E' difficile stare fuori dal mirino se il mirino t'insegue in continuazione. Poi venne l'Ucraina e la rivoluzione cosiddetta arancione (ovvero la cosiddetta rivoluzione arancione) e qui fu chiaro che Washington aveva precisamente messo Mosca nel suo mirino e stava sparando bordate molto pesanti.

La ritirata del Cremlino finisce esattamente nel momento in cui Janukovic è costretto a rinunciare alla vittoria (sicuramente rubata) e si ripetono le elezioni che porteranno alla vittoria di Jushenko. Da quel momento Vladimir Putin comincia la sua politica, silenziosa ma visibile, di roll back nei confronti degli americani. Insomma: oltre non vi lasciamo andare. Verrà l'inverno e Putin presenterà la bolletta del gas all'Ucraina, e tutto diventa improvvisamente più chiaro anche ai polacchi e ai baltici, che avevano soffiato (e ancora soffiano) nelle trombe per conto di Washington.

Nel frattempo, per gli ex paesi fratelli e cugini del Baltico, Putin preparava la seconda pillola amara. Il gasdotto sotto il mare, che consentirà di portare energia in Germania bypassandoli tutti in un colpo solo. Grande operazione strategica che libererà Mosca dalla necessità di chiedere permesso a vicini assai ostili e molto “americani” per portare il suo gas agli utilizzatori europei. I quali, a loro volta, ne hanno un bisogno assoluto, e non hanno nessuna intenzione di farsi trascinare in una prova di forza dai paesi minori appena entrati in Europa.

Per fare questa operazione Putin aveva bisogno di un partner: la Germania di Gerhard Schroeder. E l'ha trovato, anzi ne ha trovati due, Germania e Francia, entrambi preoccupati anch'essi della piega troppo antirussa e filo americana della cosiddetta “nuova Europa”, così battezzata da Donald Rumsfeld. Adesso al posto si Schroeder c'è Angela Merkel , ma i bisogni dell'industria tedesca sono gli stessi e l'amico Gerhard è diventato consulente principale del progetto, a riprova che la socialdemocrazia tedesca non è disposta a farsi trascinare dove vorrebbero Varsavia, Riga e Tallin.

Così si può concludere, sul primo fattore, dicendo che George Bush si è creato con le sue stesse mani, mettendolo con le spalle al muro, un antagonista sempre più riottoso. Tanto più riottoso perché non avrebbe voluto farlo. Per lo meno, non in tempi così ravvicinati.

E qui veniamo al secondo fattore. Putin ha fatto i suoi conti. Quelli energetici innanzitutto. La Russia è la seconda grande potenza energetica del mondo. La prima se si esamina il combinato composto di gas e petrolio. Gli altri grandi erogatori di energia sono sotto i governi arabi amici degli Stati Uniti, o sotto il dominio americano, se si eccettuano l'Iran e il Venezuela, che l'America non controlla. Ma la Russia è indispensabile all'Europa e sta diventando indispensabile alla Cina, la cui voracità energetica non ha al momento confini.

Questa posizione cruciale è ancora più decisiva se si tiene conto che siamo ormai nel “picco” del petrolio, il famoso momento in cui il suo prezzo, a causa della scarsezza crescente della merce, non discenderà più in base alle oscillazioni del mercato, ma continuerà a crescere fino a che non sarà sostituibile (ma quando e se non lo sa nessuno) da altre fonti, alternative e rinnovabili.

Così Putin si trova adesso a poter usare due piccioni con una sola fava: usare le immense risorse monetarie che sta accumulando per armarsi, ma anche per tornare a esercitare la sua influenza politica anche più lontano dai suoi attuali confini. Ovvio che questa linea va in rotta di collisione con quella dell'Impero, sia per ragioni geo-politiche che economiche. Una Russia di questo tipo non solo è pericolosissima dal punto di vista militare, ma lo è anche perché la sua azione indipendente può risolvere i problemi di altri partners mondiali. Vedi Europa, e soprattutto Cina. Quest'ultimo è un protagonista che agisce in completa autonomia rispetto all'Impero. L'Europa potrebbe diventare un altro giocatore assai più indipendente di quanto lo sia stato e lo sia oggi.

Brutte nuove per Washington che, a sua volta, ha tempi stretti per prendere decisioni, in una situazione in cui il suo debito estero è per quasi il 10% nelle mani della Banca di Stato cinese, mentre il deficit del suo budget sta toccando il tetto vertiginoso dei 9 trilioni di dollari.

Solo una bella guerra (contro l'Iran), con un bombardamento a tappeto delle strutture atomiche e delle infrastrutture industriali e con gli effetti dirompenti sugli equilibri mondiali, può rinviare la resa dei conti economici del maggior debitore mondiale. Ma per fare questa guerra bisognerebbe avere qualche alleato in più, oltre a Israele e al Botswana.

Putin ha ormai messo a punto la sua strategia e lo si vede. Non solo in Europa. L'Iran, sotto tiro di Washington, ha già avuto da Mosca missili cruise di nuova generazione, in grado di affondare tutte le petroliere che escono dal Golfo Persico. Il che significa che l'Europa si troverebbe senza benzina nel corso delle due settimane dopo l'inizio dei bombardamenti americani. Una prospettiva assai poco gradita a Bruxelles, sempre che abbiano fatto i loro calcoli. Sul piano diplomatico, Russia e Cina non permetteranno al Consiglio di Sicurezza di dare il via libera ad alcuna azione militare di Washington. Il che riprodurrà, nel momento in cui Washington deciderà l'offensiva, la stessa situazione di completa illegalità (oltre che di isolamento politico) che caratterizzò l'inizio della guerra irachena.

Il leader russo, che ha ormai sistemato a dovere i suoi oligarchi, trasformandoli da agenti dell'occidente in miti boiari che prosperano sotto la protezione dello zar, ha impedito con grande souplesse il rovesciamento di Lukashenko in Bielorussia e ha ricevuto al Cremino i nuovi governanti del popolo palestinese, eletti a furor di popolo nelle ultime elezioni di gennaio. Mosca torna a svolger un ruolo decisivo nella crisi medio-orientale. E bisognerà tenere conto dei suoi voleri, e dei suoi consigli.

E, sul fronte più orientale, oleodotti e gasdotti russo-cinesi stanno già attraversando le immense distese delle steppe siberiane, da ovest a est e da nord a sud. Aveva ragione Zbignew Brzezinski, nel 1987, quando scrisse, nella “Grande scacchiera”, che la supremazia dell'America sul mondo avrebbe dovuto passare, inesorabilmente, attraverso la demolizione della Russia (non dell'Unione Sovietica soltanto). E' accaduto però che, nonostante tutti gli sforzi messi insieme da tre presidenti americani, Bush padre, Clinton, e Bush figlio, la Russia non è stata demolita. Il che significa che la supremazia dell'America sul mondo non è stata raggiunta. Brzezinski pensava che, liquidata la Russia , trasformata in una federazione “leggera” di tre stati – Russia Europea senza il Caucaso, Siberia occidentale, Estremo oriente – gli Stati Uniti avrebbero potuto omologare abbastanza agevolmente la Cina , inserendola nel sistema di dominio del “consenso washingtoniano”. Diciannove anni dopo la Russia è di nuovo un giocatore mondiale e la Cina è un gigante al di fuori del controllo di chiunque.


di Giulietto Chiesa
da Megachip

A quanto ammonta il debito Usa?

I detective della scientifica sono all'opera. Se si guarda la tele la sera (in prima serata) ci si ritrova spesso a vedere della gente impegnata a raccogliere indizi sulla scena del crimine, cercando di capire cosa sia realmente successo. Questo è più o meno quello che avviene anche negli ambienti finanziari. Il crimine su cui si indaga è il deficit commerciale degli Stati Uniti, che secondo le rilevazioni più approfondite ha raggiunto l'anno scorso la stratosferica somma di 805 miliardi di dollari. Il mistero è come sia stato possibile toccare una tale soglia, gradualmente aumentata negli anni, con così poche conseguenze negative visibili. Ed il futuro dell'economia degli Stati Uniti dipende da quale delle due ipotesi proposte per risolvere il «caso» è quella vera.

Ecco la scena del crimine: il deficit nel commercio vuol dire che l'America sta vivendo al di sopra delle sue possibilità, spendendo più di quello che guadagna (nel 2005, gli Usa hanno esportato solo per 53 centesimi ogni dollaro importato). Per poter pagare l'eccedenza delle importazioni rispetto alle esportazioni, gli Stati Uniti hanno dovuto vendere azioni, buoni del tesoro e attività agli stranieri. In effetti dal '99, ci siamo fatti prestare più di 3 mila miliardi di dollari.

E' chiaro poi che gli introiti dovuti agli investimenti - pagamento degli interessi, dividendi delle azioni e così via – che gli americani pagano agli investitori stranieri saranno molto maggiori di quelli che gli stranieri pagheranno agli americani. Ma secondo le statistiche ufficiali, gli Stati Uniti continuano ad avere una bilancia dei proventi da investimento positiva, anche se di poco.

Com'è possibile questo? La risposta, quasi certamente, è che c'è qualcosa che non va nei numeri. La gente tende a trattare le statistiche ufficiali come fossero vangelo; gli economisti seri sanno che l'assemblaggio di questi numeri richiede molte congetture ben ponderate, e che a volte queste supposizioni sono erronee. Ma per ritornare a quello che non va, o l'economia statunitense ha delle risorse nascoste oppure è in uno stato ben peggiore di quello che sembra.

Da una parte ci sono gli esperti di economia che pensano che le statistiche ufficiali non prendono in considerazione l'export invisibile degli Stati Uniti: non quello di beni e servizi, ma quello intangibile di conoscenza e apprezzamento dei nomi di marca, che permette alle aziende Usa di guadagnare molto dai loro investimenti all'estero. I fautori di questa ipotesi sostengono che se si includesse nei calcoli anche questa forma di export, che gli esperti chiamano "materia oscura", gran parte del deficit commerciale degli Stati Uniti sparirebbe.

L'ipotesi della materia oscura è stata ripresa in modo zelante da quei giornalisti che adorano andare contro corrente. Si sostiene in pratica che l'economia americana è “più forte di quello che si crede”, per usare le parole del Business Week.

C'è però un problema: le società americane operanti all'estero non sembrano guadagnare poi così tanto. E perchè poi gli Stati Uniti non pagherebbero a loro volta il giusto prezzo per tutto quello che hanno preso in prestito? Perchè, sempre secondo i dati ufficiali, le compagnie straniere operanti negli Usa si dimostrano particolarmente poco redditizie, dando un tasso di ritorno di investimento di solo 2,2 punti percentuali all'anno.

Qualcosa non quadra in questa ricostruzione. Come sottolineato da Daniel Gros del CEPS, Centro per gli Studi Politici Europei, è difficile credere che gli stranieri continueranno ad investire negli Stati Uniti “se essi continueranno ad essere spennati come dei polli".

In un nuovo articolo il signor Gros spiega - in modo acuto, secondo me – che si sta verificando un fenomeno per cui le compagnie straniere, probabilmente per motivi fiscali, stanno ridimensionando gli utili delle loro filiali americane, e che i dati ufficiali non sono in grado di stimare i profitti di capitali stranieri reinvestiti in operazioni statunitensi.

Se Gros ha ragione, la situazione reale degli Stati Uniti non è così cattiva come la si immagina... ma peggiore. Il vero deficit commerciale, includendo anche gli utili non registrati che appartengono alle compagnie straniere, non è di 800 miliardi di dollari, ma di più di 900 miliardi. E il debito estero dell'America allora, con l'aggiunta dei profitti propri alle imprese straniere, risulta di 1.000 miliardi di dollari più alto di quello ufficiale.

A questo punto gli ottimisti tornerebbero alla carica sostenendo: perchè, se le cose stanno così male, ci sono ancora così tanti investitori stranieri che comprano titoli di Stato americani? Ed aggiungerebbero che spesso, le previsioni catastrofiche legate al deficit commerciale, si sono rivelate eccessive. Io ho due sole parole per coloro che si affidano ciecamente al giudizio degli investitori, e credono che pochi anni positivi siano sufficienti a convincere gli scettici di essere nel torto: Nasdaq 5.000.

Fino ad ora, le analisi della scientifica sembrano dirci che la situazione commerciale degli Stati Uniti è peggiore, e non migliore, di quel che sembra. E la risposta alla domanda “Perchè allora non abbiamo pagato lo scotto di questo deficit commerciale?" è: aspettate soltanto un po' e vedrete.

di Paul Krugman
da Megachip

05 maggio 2006

Il peggio deve ancora arrivare?

Lo scenario politico nazionale in questo periodo non è dei più felici si sa. I risultati elettorali, almeno per chi scrive, ci hanno consegnato la situazione peggiore che poteva capitare: il pareggio (naturalmente non prendendo in considerazione la sconfitta). L’ agenda politica delle prossime settimane, oltre ahimè alla probabile elezione di Massimo D’Alema come Presidente della Repubblica, ci pone davanti agli occhi una data cruciale. Questa data cruciale è il 25 giugno giorno nel quale ci sarà il referendum costituzionale.
Il silenzio che circonda il 25 è sconcertante, sia a destra che a sinistra. Soprattutto per quanto riguarda le conseguenze determinate da un’ eventuale “vittoria” del centrodestra, di cui pochi parlano, ma che invece configurerebbe una situazione drammatica per l’ Italia in termini sicuramente maggiori rispetto a quelli delle politiche.
Cercherò quindi di trattare i principali cambiamenti che porterebbe con sé la conferma della devolution:
1) Il Parlamento non sarà caratterizzato più dal bicameralismo paritario/perfetto (stesse funzioni), ma avrà competenze diverse ripartite tra le due camere. La Camera avrà infatti giurisdizione sulle materie di potestà dello Stato mentre il Senato su quelle di potestà regionale. Ci sarà il cosiddetto Senato federale (anche se il termine federale non indica una rappresentanza territoriale) eletto in concomitanza con le amministrative che potrebbe portare a situazioni di puro stallo politico-istituzionale simili al “governo diviso” USA, ovvero due maggioranze diverse nei due rami del Parlamento. La Camera avrà rapporto fiduciario con il Primo Ministro, potrà infatti esprimere un voto sul programma, mentre il Senato no. La Camera avrà anche la possibilità di sfiducia costruttiva nei confronti del PM ovvero potrà sostituirlo con un’ altro PM votando a maggioranza assoluta (50%+1). La sfiducia costruttiva potrà essere “impugnata” però soltanto dalla maggioranza uscita fuori dalle politiche al fine di evitare i cosiddetti ribaltoni. Questo vorrà dire praticamente che i voti dei parlamentari non saranno considerati più tutti uguali.
2) Il Primo Ministro verrà nominato dal Presidente della Repubblica sotto indicazione della coalizione vincente, avrà potere di nominare e revocare i ministri senza “passare” per il Capo dello Stato e determinerà la politica del Governo “non limitandosi” più a dirigerla come previsto dalla Costituzione del ’48.
3) Il Presidente della Repubblica diventerà una figura essenziale per permettere al Governo di realizzare le sue politiche, diventando così estremamente politicizzato perdendo quindi il suo ruolo principale di garante della Costituzione. Il Presidente potrà infatti, in caso di stallo di una legge in Parlamento, permettere attraverso un preciso iter la sua approvazione.
4) Se il PM vuole sciogliere le Camere potrà farlo a meno che il Parlamento si opponga nominando un nuovo PM. In caso di opposizione da parte del Parlamento al PM basta un numero non esagerato di deputati a lui fedeli per far sciogliere le camere.
5) Per quanto riguarda la vera e propria devolution in realtà la nuova costituzione prevede di attribuire più competenze alle regioni, ma in modo apparente visto che si creano diverse competenze statali.
6) La Corte Costituzionale come il PR prevede anch’essa una maggiore politicizzazione con la nomina di 3 giudici da parte della Camera e 4 da parte del Senato.
Volendo tirare le somme in maniera sintetica di questa riforma costituzionale si può dire che andremmo incontro da un lato nei casi di stallo politico ad una maggiore instabilità e incapacità decisionale dei governi (soggetti quindi all’ inciucio) dall’altro nei casi di maggioranze cospicue ad un’ esecutivo esageratamente forte. Un panorama non roseo che creerebbe un’incertezza politico-istituzionale gravissima quindida evitare assolutamente.