30 giugno 2006

Breve, confusa e banale riflessione sui migranti


Qualche settimana fa ero in un parco di Milano con due amici turchi. Ci si avvicina un giovine sui 30 anni con al seguito cane, frutto di qualche strano incrocio, chiedendoci se vogliamo fumare. Noi non ci rifiutiamo e il mio amico armatosi del necessario inizia a darsi da fare. Nel mentre scambiamo due parole con il ragazzo dalle quali viene fuori che è di Napoli e che lavora da dieci anni a Milano. Naturalmente non è tutto. Perchè il discorso devia sulla politica e su frasi già sentite ("i politici sono tutti uguali" e via dicendo) fino ad arrivare a toccare il tema del post, ovvero gli immigrati. Il ragazzo inizia così a pronunciare un elenco di frasi poco delicate sugli extracomunitari, ignorando naturalmente di parlare a degli extracomunitari, al che uno dei due "rivela" la propria identità. La faccia del tipo cambia leggermente tentando di salvarsi in corner sostenendo di avercela a morte soltanto con i "marocchini". Io nel frattempo cerco di far valere le mie doti, per altro scarse, di mediatore fra i due. Il tutto continua per alcuni minuti fino all'ultimo tiro di canna.
Continuo però a chiedermi quanto noi italiani siamo retrogradi su alcuni temi e come lo sia in maniera più forte la nostra classe politica.
Inoltre la questione dei migranti dovrebbe toccarci profondamente essendo il nostro un paese di emigranti. Dovremmo capire la condizione di disagio di una persona che lascia il proprio paese e la propria famiglia non perchè lo voglia, ma perchè "costretto" a sperare in qualcosa di migliore. Costretto dal modo di vivere e di pensare dettato dal capitalismo occidentale. Certo i problemi dei paesi terzomondisti sono anche interni, ma fino a quando le politiche del Fmi, del Wto, degli Usa e dell'Ue continueranno a far leva sul debito di questi paesi e sull'esportazione della democrazia con missioni militari e non di pace, i problemi da risolvere non saranno mai risolti. Tra questi anche quello dei migranti.
Penso che gli stranieri, comunitari o extracomunitari che siano, rappresentino una risorsa per l'Italia, in quanto sono diversi. E la diversità non deve essere fonte di paura, ma fonte di ricchezza.
Una fonte di ricchezza che non va affrontata con i Cpt che in Italia sono 14 e in media detengono 15.000 immigrati all'anno,complessi nei quali non si può entrare per chissà quale motivo, nonostante nessuna legge lo vieti. Una fonte di ricchezza che diventa tale soltanto con processi di integrazione che durano decenni e che i nostri governi più che favorire, ostacolano.
Il numero degli stranieri in Italia è di circa due milioni e mezzo, ma solo lo 0,5 per mille degli stranieri residenti riesce a diventare cittadino.
Il disegno di legge per cambiare la legge sulla cittadinanza è ancora in alto mare, nonostante questo sia un punto contenuto nel famoso programma dell'Unione. L'attuale legge del 1992 è basata sul c.d. ius sanguinis in base al quale la cittadinanza viene riconosciuta per "comunanza di sangue" e non come in molti altri paesi nei quali il criterio principe è quello del rapporto tra persona e territorio (ius soli). I bambini che nascono in Italia e si sentono italiani non possono vedere riconosciuta legalmente questa cosa fino al compimento dei 18 anni, perdendo questo diritto se non lo esercitano per i 12 mesi seguenti. Oltretutto il decreto attuativo dà due anni di tempo all'amministrazione per rispondere, facendo diventare i dieci anni necessari per la richiesta, dodici.
La situazione delle cose ci impone di cambiare, di rinnovarci, iniziandolo a fare da subito e non fra vent'anni come facciamo solitamente noi italiani.

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