15 gennaio 2006

Il Kenya brucia

Ancora distratti da banche, nani,magistrati e cooperative rosse non ci accorgiamo di questioni "leggermente" più serie...

Sotto il sole cocente del mezzogiorno, nel remoto e arido nordest del Kenya, distretto di Garissa, la signora Ambiya Abdi sta sul bordo della strada, con una bottiglia di plastica vuota, nella speranza di ottenere dell'acqua dai pochi veicoli che passano. Spiega che ha camminato 120 chilometri in cerca d'acqua, e ha visto le sue bestie morire una ad una di fame. «Mio marito, i miei sei figli e io abbiamo camminato in ogni direzione in cerca di acqua e di pascoli, ma non abbiamo trovato nulla», dice indicando attorno a lei la terra disseccata. «Abbiamo perso cento mucche e i miei figli stanno male, ora che non abbiamo più il latte». Il governo del Kenya stima che la mancanza di piogge, ormai da tre anni consecutivi, abbia spinto due milioni e mezzo di persone sull'orlo della fame. E' la peggiore siccità mai registrata. Il 2 gennaio, nel suo discorso alla nazione per il nuovo anno, il presidente Mwai Kibaki ha proclamato lo stato di «disastro nazionale» nelle zone colpite, e aveva valutato in 11 miliardi di scellini (153 milioni di dollari) il costo di provvedere assistenza alla popolazione colpita. Le regioni più colpite sono il nord-est e il nord del paese. Altri paesi vicini, in particolare Somalia ed Etiopia, sono pure colpiti, con 6 milioni di persone vicine all'inedia, dicono le agenzie umanitarie delle Nazioni unite. E anche in Kenya, dopo i primi monitoraggio sul campo, le agenzie dell'Onu e le autorità dicono che potrebbero essere fino a tre milioni le persone che hanno urgente necessità di cibo, quasi il 10 percento della popolazione.

Nel distretto di Garissa le autorità dicono che le persone bisognose di aiuti d'emergenza sono almeno il triplo di quelli che ricevono qualche assistenza. «Stiamo distribuendo cibo a 53mila persone, su una popolazione distrettuale di 385mila, ma vediamo che almeno 150mila persone ne avrebbero bisogno», dice Ahmed Mohamed Farah della Arid Lands Resource Management Project. Migliaia di pecore, capre e bovini sono pure morti, le mucche spesso crepano mangiando erbe velenose nel disperato tentativo di nutrirsi, dicono le autorità. Perfino i cammelli, più attrezzati al clima arido, cominciano a morire. E le organizzazioni umanitarie dicono che altri distretti sono messi anche peggio di questo.

La Federazione internazionale della Croce rossa e Mezzaluna rossa ha annunciato il 2 gennaio di aver stanziato 326mila dollari dal suo fondo per le emergenze per i primi aiuti alla popolazione kenyota colpita dalla siccità, e a fare un sopralluogo sui bisogni più urgenti. Due giorni fa poi il governo di Nairobi ha annunciato che comprerà tutti gli stock di mais prodotti nelle altre zone del paese, per far fronte alla carestia nei prossimi mesi. Il governo annuncia di aver dato incarico all'esercito di trasportare granaglie e acqua nelle zone disastrate. Tra i bisogni essenziali, oltre a distribuire cibo e acqua per le persone e il bestiame, elenca l'assistenza sanitaria, l'istruzione, e aiuti per ricostituire le mandrie e distribuire sementi ai contadini perché possano affrontare la prossima stagione agricola - nella speranza che la siccità finisca.

Al bivio tra Balambala e Modogashe, a una sessantina di chilometri dalla città di Garissa, un gruppo di madri con bambini infanti dicono che in mancanza di latte e carne devono dare ai bambini il tè. A peggiorare le cose, gli aiuti stanno arrivando con il contagocce dai donatori internazionali, mentre la burocrazia governativa rallenta la distribuzione del cibo a livello dei distretti e ci sono enormi difficoltà logistiche nel portare gli aiuti alimentari nelle zone più remote e inaccessibili. Così tra i nomadi, che vivono incrociando nelle pianure aride seguendo l'acqua e i pascoli per il bestiame, nessuno si aspetta grande aiuto dal governo o da nessun altro. «Preghiamo che dio ci aiuti», dice Suleiman Ibrahim, pastore di 36 anni: anche lui ha camminato fino alle vicinanze di Garissa, e ha perso 15 mucche: «Tutti ci hanno dimenticato».

Dalla rubrica TERRA TERRA de "Il manifesto"

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